Tutto ciò che faccio, sento e penso non dipende da me

Io sono l’universo intero, ed è l’universo che che mi muove, sono parte di quello, della sua forza. Tutti i condizionamenti e le sovrastrutture non sono ‘me’, sono ciò che hanno fatto di me.

Questo paragrafo mi connette con la potenza dell’ambiente in cui siamo immersi, mi sembra importante riconoscere questo limite e prenderne atto per non essere ingenui: l’ambiente è molto più forte di noi.
Certo credo anche che esista qualcosa su cui possiamo influire… ma in definitiva quanto ti devi impegnare per cambiare davvero e profondamente se ‘tutto ciò che fai non dipende da te’?

Molto dipende dal valore che do a ciò che faccio o penso. Per esempio, al lavoro niente dipende da me, mentre le cose che ritengo più importanti sento che dipendono da me più di altre.

Questa frase mi alleggerisce, perchè se da un lato sono meno ‘libera’, dall’altro mi toglie responsabilità, senso del dovere, aspettativa e colpa a partire dal fatto che molte cose non dipendono da me. E’ una sorta di assoluzione.

Se “Tutto ciò che faccio, sento e penso non dipende da me” allora mi chiedo, io chi sono? In definitiva, io non posso fare altro che confrontarmi con questo mondo, e se partire da questa realtà non posso cambiare, forse lo posso fare a partire da ‘un’altra realtà’… Forse l’unica via che abbiamo è approfondire e meditare.

Ogni cosa che faccio a partire da questa realtà, da questo livello, anche la più evoluta, non dipende da me ma dall’educazione, dai miei valori, dall’ambiente, dalle persone che ho incontrato sul mio cammino. Questo mi toglie il respiro. Non esistono scelte libere.

Ma c’è un luogo dove non c’è più il ‘me’, dove non ci sono condizionamenti né compensazioni, il luogo del ‘noi’ e li hai la sensazione che esistono altre possibilità e forse lì, e solo lì, puoi scegliere!
Quando intuisci dei segni o segnali che vengono da un altro piano, finalmente respiri libertà e lì senti che qualcosa dipende da te.

Il registro di ‘resistenza e fatica ad ogni passo’ mi dice che ‘sto scegliendo’, quando tutto viene bene e tutto è facile non sto scegliendo. Mi sto adeguando. Al contrario, ogni volta che ho l’opportunità di scegliere davvero, vado verso l’evoluzione, verso il superamente del corpo fisico e verso il superamento della morte.

(Anita, Emanuela, Alessandro, Donatella, Laura, Sandra)

Scoprii, non per mezzo dell’insegnamento, ma attraverso l’esperienza e la meditazione, che non c’è senso nella vita se tutto finisce con la morte

Con questa frase si afferma che, per arrivare alla comprensione della frase: “che non ce senso nella vita se tutto finisce con la morte”, bisogna passare attraverso l’esperienza e la meditazione e non tramite un insegnamento solo teorico.
Probabilmente per arrivare ad una tale comprensione è necessario intraprendere i passi su cui Silo ci ha invitato a meditare fino a qui.
Non c’è senso nella vita se tutto finisce con la morte:  questo è il primo passo nella decisione di intraprendere un cammino; se affermo internamente questa frase, può essere l’inizio verso l’esperienza della trascendenza.
Stare con questa comprensione mi apre il futuro, e percepisco un registro di unità interna che ci da direzione nella vita.
A volte mi accorgo come questa frase non sia per me una comprensione profonda, rimanendo ad un livellosoltanto  mentale e faticando nel farla scendere. Non la percepisco come una emozione ne come come  esperienza o fede.
Credo sia un un atto che ha a  che vedere con il lasciare andare.
Fin da piccolo cresco con una educazione che mi porta a non credere alla mia parte spirituale, ma se questa affermazione non fosse presente in qualche forma in me, allora non sarei nemmeno qua.

(Anita, Donatella, Emanuela, Alessandro)

Scoprii, non per mezzo dell’insegnamento, ma attraverso l’esperienza e la meditazione, che non c’è senso nella vita se tutto finisce con la morte. (Il Cammino)

Comunità del Messaggio Breda Sei

La nuova Comunità del Messaggio di Silo si incontra ogni giovedì alle ore 21 presso la saletta del Messaggio in via Breda, 122 a Milano

Ti aspettiamo

PROSSIMI APPUNTAMENTI:
Venerdì 25 maggio ore 20.30
Cena : “Tutti fuori dalla Saletta!”

con l’arrivo della bella stagione (??) la famosa cena mensile della Saletta di via Breda si espande nello “Spazio Marciapiede”, un ampio cortile pubblico davanti alla saletta, dove si potrà restare a chiacchierare in compagnia fino a notte fonda, e dove innalzeremo i nostri “pedidos”

Napoli, inaugurazione della saletta

E’ stata inaugurata nella giornata di Sabato 5 Maggio la saletta destinata alla divulgazione             del Messaggio di Silo

Morire non è meglio di vivere o di non essere nato, ma non è neppure peggio

Non esiste una verità assoluta, in base allo stato d’animo in cui mi trovo, morire o vivere possono essere per me un sollievo o un tormento. Vivere può risultare meglio di morire o viceversa, e quella stessa fine che molti temono, per altri può diventare una liberazione da tensioni insostenibili.

Il punto centrale è cosa c’è dopo la morte e cosa credo rispetto a questo, non tanto se morire sia meglio o peggio di vivere.

Di per sè, una cosa non ha più o meno valore dell’altra, sono io a dare valore o a preferire una cosa ad un’altra. E non si tratta di un valore assoluto e immutabile, dipende da ciò che faccio con la mia vita, così come dipende da ciò che faccio con la mia morte.

In genere, o fuggiamo dalla morte e ne abbiamo paura, oppure fuggiamo dalla vita. Solo accettando entrambe possiamo Vivere davvero.

Se morire non è meglio nè peggio di vivere, allora quella carica che metto sull’una o sull’altra non ha ragion d’essere. Vita e morte fanno parte di uno stesso continuum. Come nel Tao sono parti della stessa cosa, la vita è nella morte e la morte è nella vita. Non sono in contrapposizione bensì si danno senso a vicenda. E questo mi fa pensare che deve esistere un ‘unico senso’ che riguarda entrambe, ed è Il Senso che io cerco. Se sono parte della stessa cosa, a maggior ragione non ha senso giudicare quale sia migliore!

Quando sperimenti cose che ti connettono ad altri spazi e mondi, quando senti unità interna, in quei momenti non importa se vivi o muori. In qualche modo se sei ‘pronto a morire’ è perchè la tua vita è coerente e si sta svelando l’unica cosa che conta: ciò che succederà dopo.

E’ come se questo paragrafo avesse a che vedere con il ‘superare la contraddizione’, con la costruzione dell’unità interna. In quel momento ‘va bene tutto’ e ‘per te stanno bene il giorno e la notte, l’estate e l’inverno’.

E se ‘non sei mai nato’, non ha senso porsi il problema, tutto è lo stesso e non esiste vita nè morte.

Più mi allontanto da ‘nulla ha senso nella vita se tutto finisce con la morte’ e più credo che una cosa sia meglio dell’altra. E quando mi sembra che vivere sia meglio di morire o viceversa è perchè sto mettendo enfasi su qualcosa di secondario.

Io credo che viere sia meglio di morire, ma come lo fondamento? Non so nulla della morte. Posso farlo solo a partire da ciò che io credo della morte, per esempio dal timore che non esista nulla oltre il corpo. Ma non ne ho la certezza, è solo un punto di vista che cambia a partire dalle mie credenze.

(Anita, Emanuela, Alessandro)

Ciò che viene detto oggi, da me o da qualcun altro, non è valido domani

Questa frase riesce a rilassarmi e a tendermi nello stesso tempo. Mi tende perchè sembra contrapporsi a ciò che mi hanno insegnato, fare di tutto per mantenere la parola data; mi rilassa perchè mi fa sentire libera di cambiare idea se cambiano le condizioni… avvisando s’intede:)

Poiché io cambio e sono un essere in evoluzione, non posso credere che quello che penso oggi sia lo stesso di quello che penserò domani e così per sempre. Non c’è niente che mi impedisce di cambiare le mie scelte in ogni momento, oppure di confermarle, e questo mi rende libero.

Quando invece mi sento in colpa – o in dovere – di rispettare a tutti i costi un impegno preso sul quale ho però cambiato idea, corro il rischio di farlo male, con disinteresse o risentimento. Il paradosso è che, rispettando quell’impegno per paura di fare un torto a una persona, finisco per trattarla male, o per lo meno non come vorrei essere trattato!

Come mi sento quando non mantengo la promessa fatta? “Mantenere la parola” è per me un valore, è molto importante ma mi rendo conto che l’attenzione non è sulla “cosa detta” bensì sulle conseguenze di non aver fatto ciò che avevo detto, quindi sulla “questione morale” o sul senso di colpa.

Spesso proiettiamo sugli altri i nostri meccanismi mentali: se l’altro non fa quello che dice, vuol dire che non gli sta dando importanza, che di fatto  se ne sta fregando. E così tratto l’altro come sto trattando me stesso: con senso del dovere e rigidità. Quando accetto la possibiltà di cambiare il mio pensiero, aumentano comprensione, tolleranza e apertura, e le relazioni divengono più libere.

Quando leggo o quando qualcuno mi dice che “ciò che viene detto oggi non è valido domani” provo un senso di destabilizzazione., davvero nulla è certo? Nulla è certo che ci si ferma all’atto esterno. Diverso è se si prende in considerazione l’intenzione che muove quell’atto.

(Anita, Emanuela, Alessandro)

La crudeltà mi fa orrore, ma non per questo è in se stessa migliore o peggiore della bontà

Quando dico ‘la crudeltà mi fa orrore’ sto assumendo un punto di vista interno, quando invece penso a se ‘una cosa è bene o male’ il punto di vista è esterno, mi ergo a giudice di un’azione. Il punto non sta infatti nel giudicare tra ciò che è bene e ciò che è male, bensì nel riconoscere cosa ti fa bene e cosa no, come sensazione interna, non come verità assoluta.

Se sono consapevole di non poter giudicare la bontà o la crudeltà di un’azione, allora divento tollerante, il registro è quello dell’unità interna.

Sconcerta come Silo faccia riferimento proprio alla crudeltà, di fatto una delle cose che ci risulta più difficile non giudicare. E’ un’immagine molto forte che va a toccare qualcosa di profondo e radicato.

Solo se mi soffermo posso rendermi conto, per esempio, che ciò che è crudele per me magari non lo è per un altro, e che comunque la questione centrale esula da questo.

A volte diciamo ‘sei stato crudele con me’… e magari l’altro nemmeno se ne è accorto, eppure l’abbiamo registrato in questo modo.

Non si sta dicendo nemmeno che devo accettare ciò che ritengo crudele, ma piuttosto che è diverso esprimere il proprio parere dall’imporlo come morale e unica verità.

Spesso, finiamo per unire un atto al registro e li consideriamo inscindibili. Invece, siamo noi ad ‘assegnare’ un registro a quell’atto, non si tratta di qualcosa di oggettivo.

Anche quando faccio una cosa perchè la ritengo buona, in realtà la sto facendo perchè quelli sono i miei interessi, non perchè è buona in assoluto.

Ciò che usiamo oggi per dire ‘questo è buono, questo no’ è il nostro paesaggio di formazione, la nostra educazione. Se riesco a smontare, ad affrancarmi da questo, allora sceglierò quali azioni compiere in base a ciò che sento. A quel punto la scelta si sostituisce al giudizio, e io posso permettermi il lusso di compiere azioni buone perchè mi risuonano internamente come atti coerenti, e non in base a uno stabilito.

Se entro nel labirinto del giudizio sono costretto a prendere posizione tra bontà e crudeltà. Da lì a imporre il mio pensiero il passo è breve e vedo l’incatenamento a cui questo conduce.

Se mi togli il mio ‘essere buono’ entro in crisi, è come se mi togliessero i paletti su cui mi sono sempre appoggiato… e a quel punto non mi resta che far crescere il mio ‘paletto interno’.

(Anita, Emanuela, Alessandro)

“Le mie ragioni non sono migliori nè peggiori delle ragioni altrui”

Commenti al 9° paragrafo del 3° Capitolo del Libro
“Il Messaggio di Silo”

Ogni volta che affermo le mie ragioni, di fatto sto affermando me. Non mi interessa l’altro, che in questo modo diventa un ‘per me’. Se invece mi allontano da quel tipo di tensione, allora mi mettocon l’altro, la situazione si trasforma immediatamente da ‘affermazione di me’ a ‘ inclusione dell’altro’ e metto le basi per comprenderlo.

Quando sostengo le mie ragioni, mi identifico totalmente con quelle ragioni (o quegli interessi), vi aderisco così tanto che quelle ragioni sono ‘Io’ e devo difenderle ad ogni costo perchè discutere ciò che penso mi destabilizza e mette in crisi. Se invece considero le mie ragioni nè migliori nè peggiori di quelle altrui ne ‘prendo distanza’ e resto libero di cambiarle. Se credo di essere ‘fatto di quelle’, allora cambiandole perderei qulacosa di me.

Questa frase non significa affatto ‘non dire quello che pensi’, ma piuttosto non imporre ciò che pensi. E infatti, dire ciò che pensi lascia un registro di coerenza, cercare di convincere gli altri che la ragione sta dalla tua parte stride e ha il sapore della contraddizione. Crescono tensione e irritazione, innescando il circolo vizioso dell’affermazione da cui puoi uscire senza frustrazione solo da vincitore. Se non riesci ad imporre la tua ragione hai perso, non vali. Questo a maggior ragione se lo si guarda a partire da una visione occidentale del mondo in cui esiste il bianco o il nero, il buono o il cattivo e in cui c’è posto per un solo vincitore.

Se discuti a partire da quel piano (dimostrare il tuo valore) ne esci a fatica e non ti concedi di approfondire, ti fermi alle giustificazioni senza arrivare mai al punto.

Se al contrario vuoi comunicare, allora conviene andare verso qualcosa che sta più in profondità delle tue ragioni, lì trovi un’unione e una connessione con l’altro e a quel punto sì che le ‘tue ragioni’ non contano più!

(Emanuela C , Alessandro G)